FRASCATI (cultura) - Lo scrittore pugliese ieri ha presentato la sua ultima opera, "Alla luce del mito", nella sala Specchi
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Il mito come rifugio dalle false mitizzazioni, il mito come atavica, intima, irrinunciabile tensione al "grande racconto", al modello primo ma non per questo modello raggiungibile.
Un'ora e mezza a parlare di mito senza trattare di mitologia. Marcello Veneziani nel suo racconto affascina e offre una lunga serie di spunti degni di approfondimento.
"Che senso ha parlare di mito e miti in tempi così bui per la nostra società ed in particolare per la nostra nazione? Siamo creature che hanno bisogno del mito che incarna in sé il racconto dell'origine, il "grande racconto" di tutti noi. Il mito è la proiezione di un'altra dimensione, una tensione primaria ed irrinunciabile, un bisogno contemporaneo permanente. Tanto che quando si pensa di riuscire a cacciare i miti classici, i "grandi miti", questi - solo apparentemente misconosciuti - rientrano comunque dalla "finestra". Basti pensare al cinema o, più a bassi livelli in una società come la nostra fondata sull'economia, alla pubblicità".
Una tesi articolata ed affascinante che Veneziani, nel bell'incontro di ieri pomeriggio presso la Sala Specchi del Comune di Frascati organizzato da Mirko Fiasco, ha affrontato presentando la sua ultima fatica "Alla luce del mito-Guardare il mondo con gli occhi degli altri".
"Il mito per sua natura ci proietta fuori dall'ego e dall'immediato: come esseri umani abbiamo una doppia dimensione, quella "piccola" e quotidiana e quella "grande", quella che ci porta altrove, che ci fa sognare, che ci fa guardare le cose dall'altro e ci eleva". "I surrogati di oggi, l'epoca dominata dalla finanza, i tempi dei selfie, sono l'esatto contrario del "mito", e tendono all'esaltazione dell'ego e dell'immediato, non portano ad alcuna elevazione ma solo, al limite, ad un senso di frustrazione provocato dal far diventare miti persone come i calciatori, i cantanti, i blogger di successo che comunque sono "irraggiungibili" dai comuni mortali".
Ulisse ed Achille, Dioniso, Mercurio, Narciso, sono insomma lontani anni luce. "Oggi quelli che creano miti come il denaro, come le superstizioni o ancora più a bassi livelli come le persone di successo, promettono il paradiso ma portano all'inferno, inteso che abisso della persona". Eppure... "Eppure i miti classici esistono e resistono, si ritrovano continuamente: pensiamo all'egocentrismo di Narciso, alla comunicazione di Mercurio, all'ebbrezza di Dioniso. Il rischio è che però questi falsi miti tendono all'utopia, diventano modelli irraggiungibili e, come detto, nel caso della pubblicità ad esempio professano la promozione delle emozioni a scapito del pensiero. E senza pensiero siamo indifesi. Rischiamo nei casi più gravi di cadere nella mitomania".
Il percorso di Marcello Veneziani è oggettivamente accattivante. "Il mito non solo l'infanzia dell'umanità, il racconto delle origini al quale tutte le epoche, tutte le religioni, le filosofie si sono rivolte e continuano a rivolgersi: è un tema che era e resta universale per quanto in questi tempi si rischi di diventare più "poveri"".
Prendiamo il mito dell'Italia. "Prendiamolo, sì, perché è molto esemplificativo e ripercorre un po' il tema dei miti politici e sociali caratteristici dell'Ottocento e dell'inizio del '900. Quei miti persi i quali ci si è rifuguati nei "mitoidi" che vediamo oggi". L'Italia, dunque. "Nei giorni scorsi la rivista "Us News" ha incoronato l'Italia come il Paese leader per influenza culturale nel mondo (LEGGI l'Ansa). A noi questo può apparire incredibile, eppure l'Italia è ancora percepita come un mito: non sarebbe questa una base sufficiente per ripartire da qui? Allo stesso tempo prendiamo l'Europa, della quale il 25 marzo, sabato, si festeggiano i 60 anni. Una istituzione fondata non sul proprio mito, sulla propria ricchezza culturale, sulla propria identità anche religiosa ma solo sulla finanza e sull'economia, oggi travolta dall'ondata populista rischia seriamente di essere messa in discussione. Il mito non è nostalgia, è anzi energia positiva perché, come detto, è portatore sano del "grande racconto" e di quei valori che sono anche educativi ed esemplari".
"Il mito - dice Veneziani - ci fa uscire dalla gabbia dell'io dove oggi ci siamo ristretti e ci fa respirare a pieni polmoni. Una tensione irrinunciabile, antica e contemporanea allo stesso tempo".